La comunità BioSlow sono reti informali di realtà territoriali che, se pur differenti tra di loro, cooperano per conseguire una serie di obiettivi comuni che superano i vantaggi individuali e particolari, per rendere le attività economiche e l’ambiente circostante economicamente solidale, improntato alla sostenibilità e al rispetto di precisi valori etici. Una comunità capace di migliorare la qualità della vita di tutti coloro che – a vario titolo – entrano in relazione con essa.

La comunità diventa un’unità organica che condivide un interesse economico, animata da un contenuto sociale e da un fine etico: costituisce la dimensione entro cui l’agire economico può – concretamente – porsi l’obiettivo di favorire la complementarietà e l’armonica integrazione delle espressioni della vita umana.

Una comunità che guarda con interesse alle esperienze e alle teorie espresse da Adriano Olivetti nel primo dopoguerra e alla teoria sociale denominata community development, alla base del programma nazionale «piccole patrie».

Una comunità che si sviluppa attraverso la partecipazione dei diversi attori del territorio – cittadini, agricoltori, imprenditori, operatori turistici, enti pubblici e territoriali – con l’obiettivo di promuovere:

• comunità BioSlow rurali, che nascono nei territori di produzione e s’interfacciano tra loro sviluppando sinergie e collaborazioni
• comunità BioSlow urbane, che nascono nei territori di consumo, perché “mangiare è un atto agricolo e il processo produttivo termina quando mettiamo il cibo nel piatto” (Wendell Berry – scrittore e poeta americano, attivista ambientale, critico culturale e agricoltore).

Sperimentiamo assieme forme innovative, come succede in Francia con l’esperienza delle AMAP (Associazioni per il Mantenimento dell’Agricoltura Contadina), nel mondo anglosassone e anche in Italia (agricoltura sostenuta dalla comunità), ricordando sempre che è certamente importante pensare all’idea progettuale, ma soprattutto alle persone che la dovranno concretizzare.